Autorevoli fonti fanno risalire la tradizione enologica di Carema all’epoca romana. Scritti degli storici latini raccontano infatti che la vittoria del console Terenzio Marrone sui Salassi, nel 23 a.C., fu festeggiata dai soldati con il saccheggio delle cantine del luogo. Con il passare dei secoli il vino di Carema diventò molto pregiato, tanto che nel 1597 fu contemplato tra i migliori vini nel libro “De naturali vinorum historia” del medico marchigiano Andrea Bacci. Nel XIX secolo la viticoltura di Carema raggiunse un’estensione di oltre 350 ettari di superficie coltivata; sul finire dello stesso secolo, però, la comparsa di dannosi parassiti ne causò una netta riduzione.
Oggi i vigneti occupano circa 30 ettari di terreno, di cui oltre la metà sono gestiti dai Soci della Cantina Produttori di Nebbiolo di Carema.
La cooperativa, nata nel 1960 dall’unione di un gruppo di viticoltori locali al fine di tutelare e salvaguardare questa secolare produzione enologica, conta attualmente una settantina di soci e vanta una moderna cantina, una gamma di sei etichette ed una produzione di circa sessantamila bottiglie l’anno. Oltre alla cantina sociale, vi sono piccoli produttori che vinificano in proprio, ottenendo principalmente un vino rosso da tavola.
La produzione enologica più rinomata è il Carema, considerato uno dei maggiori vini italiani e fra i primi piemontesi a fregiarsi della D.O.C. (denominazione di origine controllata) già nel 1967: prodotto solamente nel comune omonimo da uve del vitigno Nebbiolo, dev’essere invecchiato per almeno tre anni (escluso quello di vendemmia), due dei quali in botte di rovere o castagno.Dal 1997 si produce inoltre il Canadese D.O.C. , in versione rosso e rosè.
La sfida per il prossimo futuro che Carema, Città del Vino, deve vincere è quella di preservare la sua viticoltura di nicchia, attraverso il rinnovamento dei vigneti e la continua ricerca della qualità dei vini.